Traduzione di un frammento del romanzo “Esclaves”, di Kangni Alem.
Oggi pomeriggio, su un colpo di testa (o di cuore!), ho tradotto di getto uno dei miei passaggi preferiti del romanzo storico Esclaves (“Schiavi”), dello scrittore e professore togolese Kangni Alem.
L’estratto che avete la scelta di leggere avviene nel momento in cui il re Adandozan, in prigionia dopo aver subito il complotto che lo destituirà, rammenta il suo incontro con una giovane straniera dalle abilità straordinarie.
Sono grata al professore Kangni per aver scritto questo romanzo storico, il quale è ambientato nel XIXesimo secolo nella regione del Golfo di Guinea, più precisamente nel regno del Danhomé, e in Brasile. Gli sono altresì riconoscente per aver accettato che ne dessi un assaggio alle mie amicizie italofone.
La lingua principale del libro è il francese. Ma la lettura è un’esperienza inedita poiché la narrazione di Kangni Alem è magnificamente instarsiata dell’ Eʋegbe e del portoghese brasiliano. Mi auguro davvero che una casa editrice italica ne dia presto l’accesso ai lettori italofoni.
Il re del Danhomé e l’interprete Sophia
La prima volta che la vide, lei faceva parte di una delegazione di uomini bianchi venuti a palazzo per incontrarlo. Una decina di uomini, capeggiati da Joshua Snoep, convinto partigiano dell’abolizione della schiavitù, e tra tutti quegli uomini una sola donna chiamata Sophia. La cosa più strana non era la sua presenza nel gruppo degli abolizionisti bensì la sua capacità di comprendere le parole del re e di tradurre nei due sensi. Di solito, gli interpreti ai quali il palazzo o gli invitati stessi facevano appello erano degli uomini in contatto con i negozianti della costiera e che possedevano rudimenti di inglese, di portoghese, di francese, e a volte di olandese. Ma era raro vedere gli stranieri sbarcare con i loro propri interpreti, poiché le lingue gbe erano talmente complesse che coloro che si avventuravano nel loro maneggiamento, eccezion fatta per qualche religioso testardo, finivano per slogarcisi la mascella o per proferire delle volgarità, quando cadevano nella trappola degli accenti e dei toni. Invece ora, dinanzi al re, la giovane donna che lo ascoltava e che gli restituiva le risposte di Joshua Snoep parlava il gbe come se lo avesse parlato da sempre.
Divertito, il re volle metterla alla prova. Cercò nella sua testa un qualche costrutto proverbiale o una qualche espressione idiomatica complessa che potesse cogliere alla sprovvista la giovane donna e, avendola scovata, senza transizione alcuna, nel bel mezzo di una sequenza di traduzione, le fece :
« Yovo se gbe voa mu se agbangbangban’o.
– Il Bianco capisce il gbe, tradusse lei meccanicamente, ma.. »
Si fermò , sorpresa per la complessità del fonema finale e soprattutto perché comprese che la frase non c’entrava nulla con lo scambio tra Snoep e il re. Il re sorrise e la guardò. Lei restituì lo sguardo e gli lanciò:
« Sì, è vero, parlo gbe, ma questa sottigliezza mi sfugge.
– No, riprese il re, la sua padronanza della lingua è impressionante. Dove l’ha imparata?
– A Copenaghen, da un vecchio missionario danese che aveva percorso tutta la costiera.
– Pensa che avrebbe saputo tradurre agbangbangban?
– Piatto rotto, è questo che significa?
– Quindi lo sapeva? Lei è più intelligente di quanto pensassi.
– Grazie, maestà. Ma piatto rotto non è che una possibilità di traduzione, so che intendevate dire altro.
– Perciò devo venirle in aiuto ?
– Vorrei che mi aiutaste, maestà.
– Peccato, ironizzò il re. Io che contavo su di Lei per insegnarmi il gbe. Scherzi a parte, signora traduttrice, accetterebbe di insegnarmi le lingue dei Bianchi, in specie il portoghese ?
– Sono al vostro servizio, maestà.
– Conoscere le lingue dei Bianchi mi aiuterà a non fare bancarotta. Agbangbangban, bancarotta, ha colto ora ?
Lei arrossì, e all’improvviso un sorriso le irradiò lo sguardo. Guardò il re dritto negli occhi e, trionfante, dichiarò:
« La mia proposta non era poi così sciocca. Piatto. Bancarotta, piatto dell’imposta, il bilancio del reame è in salvo, maestà. »
Come se fossero stati soli, il re e la giovane donna scoppiarono in una franca risata. Durante la conversazione, tanto i notabili del palazzo quanto gli ospiti avevano seguito lo scambio senza osare immischiarsi al dialogo tra la giovane donna e il re. Sotto i loro occhi si stava svolgendo qualcosa di cui non indovinavano gli sviluppi. Joshua Snoep rimase sorpreso quando in seguito il re gli domandò se Sophia fosse sposata. Sì, rispose Snoep, con un Francese, un certo Olivier de Montaguère, il quale aveva trascorso qualche tempo sulla costiera e ora se ne era ritornato in Inghilterra. Il re aveva suggerito di inviare una delle mogli ad occuparsi del marito di Sophia per il periodo che quest’ultima avrebbe trascorso a palazzo insegnandogli le lingue dei negrieri, tutte le lingue di tutti i negrieri, aveva sottolineato.
A partire dall’indomani stesso di questo colloquio, tutti i pomeriggi e a volte fino a tarda notte, nell’atrio o sul terrazzo del palazzo reale, si udì il sovrano del Danhomé e la sua insegnante ripetere stentatamente delle parole, delle frasi strane in lingue dalle sonorità comiche o sconcertanti.
Gli sforzi del re per padroneggiare le lingue europee erano immani, eppure ne risultavano espressioni sempre impiastricciate, visto che le parole del portoghese si infilavano indistintamente nelle espressioni in inglese, in francese o in olandese. Ben presto Sophia comprese le ragioni di tale mistura linguistica, ciò che il re voleva sopra ogni altra cosa era parlare il portoghese. Allora, dopo averne discusso in tutta franchezza con l’insigne allievo, Sophia concentrò le sue energie per insegnargli le sottigliezze della lingua degli antenati di Francisco Félix de Souza, negriero a Gléhué.
Le giornate del re furono dedicate all’intento di penetrare gli arcani della lingua del suo avversario al fine di affrontarlo da pari a pari, senza intermediari di qualsiasi sorta.
Quand’è che la relazione di studi tra la maestra e l’allievo si trasformò in una relazione amorosa che degli spiriti critici giudicarono fin da subito scandalosa ? Né Sophia né il re avrebbero saputo dirlo con certezza.
Kangni Alem, Esclaves, 2009, casa editrice JC Lattès, pp. 75-78, tradotto da KeMa.
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